giovedì 27 novembre 2008

Claude Levi Strauss, moderno Cristoforo Colombo

Ritengo utile celebrare il 100 compleanno del grande antropologo francese ripubblicando in rete il testo di un'intervista che avevo realizzato a Parigi un quarto di secolo fa insieme ad un amico uruguaiano di Radio France International, Mario Delgado
Un anno dopo. Con la scomparsa di Lévy-Strauss in questo triste week-end di celebrazione dei defunti, credo che usciamo definitivamente dal Novecento e dalla produzione culturale del secolo in cui ci siamo formati. E' stato l'intellettuale che mi ha colpito maggiormente quando lo incontrammo nel suo studio al Collège de France. Un monumento all'intelligenza e alla vivacità intellettuale. Un grande laico che se ne va lasciandoci in questo nuovo secolo di "liquide" incertezze.



"Come la matematica o la musica l'etnologia é una delle rare vocazioni autentiche. Si può scoprirla in noi, anche senza che ci sia mai stata inculcata".

Così, quasi trent'anni or sono, nel 1955, in un'opera ormai celebre, Tristi Tropici, Claude Lévi-Strauss rievocava la passione che lo tormenta da più di cinquant'anni, l'antropologia. Ultimo anello di una lunga catena geniale che ha ormai perso i suoi 'migliori della classe' Jean Paul Sartre e Raymond Aron, il celebre antropologo francese pubblica oggi all'età di 76 anni una raccolta di conferenze, Paroles Données, a coronamento di una fertilissima attività pubblicistica cominciata nella seconda metà degli anni quaranta. Eppure il giovane Levi-Strauss non lasciava presagire una così importante carriera scientifica ed accademica. Nato nel 1908 da una famiglia di pittori e di musicisti, al contrario di Sartre e di Aron, egli aveva fallito il difficile biennio che apriva le porte all'Ecole Normale Supérieure, e, dopo aver iniziato studi di diritto, aveva dovuto accontentarsi di una laurea in filosofia alla Sorbona. Ma uno spirito come il suo non poteva convivere con gli stretti panni dell'insegnamento della filosofia, e, nel 1935, dopo due anni trascorsi in un liceo di provincia, il futuro antropologo, coglie infine l'opportunità per coltivare la sua passione, il suo gusto per l'avventura. Ricorda in Tristi Tropici:

La mia carriera si è decisa una domenica dell'autunno 1934 alle nove del mattino, con una telefonata. Era Celestino Bouglé, allora direttore della scuola normale superiore; da qualche anno egli mi accordava una benevolenza un po' sostenuta e reticente: in primo luogo perché non ero un antico normalista, in seconda luogo e soprattutto perché, anche se lo fossi stato, non appartenevo alla sua scuderia per la quale nutriva sentimenti particolari. Evidentemente non aveva altra scelta, infatti mi domanda all'improvviso. “Lei ha sempre intenzione di fare l'etnografo?” “Certo!”. “Allora ponga la sua candidatura come professore di sociologia all'Università di Sao Paulo. I dintorni sono pieni di Indiani, potrà dedicare loro i suoi week-end. Ma deve dare la sua risposta definitiva à Georges Dumas prima di mezzogiorno”.

Claude LEVI-STRAUSS: Je me suis trouvé dès le départ en présence de deux affirmations tout à fait contradictoires, puisque, d'une part le directeur de l'Ecole Normale Supérieure me disait :"Vous ferez de l'ethnologie tous les dimanches, parce que les faubourgs (de Sao Paulo) sont pleins d'indiens", et, quelques jours après, l'ambassadeur du Brésil, qui était Monsieur Louis de Souza Dantas, me disait lui:"Les indiens? Mais il n'y en a plus un seul au Brésil: on les a tous exterminés".

In quegli anni la Francia non conosceva ancora cattedre né di antropologia né di etnologia: tali ricerche erano ancora ai margini delle istituzioni accademiche che le consideravano in un certo senso, lavori di dilettanti. Ricorda Levi Strauss in Tristi Tropici

Mi domando a volte oggi se l'etnologia non mi abbia chiamato, senza che me ne rendessi conto, per l'affinità esistente fra la struttura delle civiltà che essa studia e quella del mio pensiero. Mi mancano le doti per conservare saggiamente in cultura, campi di interessi di cui, un anno dopo l'altro, avrei raccolto i frutti: ha un'intelligenza neolitica. Come i fuochi della boscaglia indigena, essa brucia distese a volte inesplorate; le feconda, forse, per ricavarne qualche rapido raccolto, lasciandosi dietro un territorio devastato. In quell'epoca, però, non potevo rendermi conto di questi motivi profondi. Ignoravo tutto dell'etnologia, non avevo mai seguito un corso, e quando Sir James Frazer fu per l'ultima volta alla Sorbona e vi tenne una conferenza memorabile - credo nel 1928 benché fossi al corrente dell'avvenimento, non mi sfiorò nemmeno l'idea di assistervi.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Claude Levi-Strauss, lei viene definito da taluni antropologo, da altri etnologo. In realtà lei sembra non prestare molta attenzione a questa distinzione, tende in un certo senso volutamente a confondere i due lavori. Al di là dell'etimologia greca, esiste una vera e propria differenza epistemologica fra l'antropologia e l'etnologia?

LEVI-STRAUSS C'est uniquement une question de définition, une question de mots, et à partir du moment où on dit ce que l'on met derrière les mots, on peut les choisir à sa convenance. Il m'a toujours paru commode, si Vous voulez, puisque nous disposons de trois termes qui sont, ethnographie, ethnologie et anthropologie, de les affecter à une étape, ou à un moment de recherche. L'ethnographie c'est le travail sur le terrain, c'est la description monographique; l'ethnologie c'est déjà une première tentative de synthèse, mais soit dans une aire géographique, soit dans un domaine de l'activité humaine déterminé; et l'anthropologie c'est l'ensemble de ces recherches mise au service d'une meilleure connaissance de l'homme; c'est à dire la recherche ethnographique d'abord, puis ethnologique, atteignant avec l'anthropologie. son plus haut degré de généralités.

Eppure il giovane Levi-Strauss, come racconta all'inizio di Tristi Tropici, non "amava" particolarmente i viaggi:

Odio i viaggi e gli esploratori, ed ecco che mi accingo a raccontare le mie spedizioni. Ma quanto tempo per decidermi! Sono passati quindici anni da quando ho lasciato per l'ultima volta il Brasile e durante tutto questo tempo ho progettato spesso di metter mano a questo libro; ogni volta una specie di vergogna e di disgusto me l'ha impedito. Suvvia! Occorre proprio narrare per disteso canti particolari insipidi e avvenimenti insignificanti. Nella professione dell'etnografo non c'è posto per l'avventura: questa non costituisce che un impaccio; incide sul lavoro effettivo col peso di settimane o mesi perduti in cammino, di ore oziose mentre l'informatore se ne va per i fatti suoi; della fame, della fatica, a volte della malattia, e, sempre, di quelle mille corvées che logorano le giornate in pura perdita, e riducono la pericolosa vita nel cuore della foresta vergine a una specie di servizio militare. Che occorrano tanti sforzi e inutili spese per raggiungere l'oggetto dei nostri studi, non dà alcun valore a ciò che si dovrebbe considerare piuttosto come l'aspetto negativo del nostro mestiere. Le verità che andiamo a cercare così lontano valgono soltanto se spogliate da quelle scorie. Certo, si possono consacrare sei mesi di viaggio, di privazioni e di avvilente stanchezza al reperimento (che richiederà qualche giorno e, a volte, qualche ora) di un mito inedito, di un nuovo istituto matrimoniale, di un elenco completo di nomi di clan, ma questo residuato della memoria (. . . alle 5,30 del mattino entrammo nella rada di Recife mentre i gabbiani stridevano e le barche dei mercanti di frutta esotica facevano ressa attorno allo scafo . . .), un ricordo così esiguo merita che io prenda la penna per fissarlo?

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Come mai lei “odia” i viaggi? Non é forse paradossale per un antropologo?

LEVI-STRAUSS Cette affirmation par quoi commence Tristes Tropiques était une affirmation un peu polémique et qui s'explique, disons, par les circonstances du moment. C'était la grande vogue des conférences de voyages: toutes les semaines la salle Pleyel, qui était une très grande salle à Paris, se remplissait d'auditeurs qui venaient écouter des gens raconter leurs aventures. Ce que j'ai voulu dire par là, c'est que l'aventure n'est pas un but un soi pour l'ethnologue, que c'est le moyen obligé de sa recherche et qu'il ne faut pas confondre les buts et les moyens.

Sulla strada che va da Santos a San Paolo, Lévi-Strauss rimane sconvolto, meravigliato dal Nuovo Mondo. A proposito del suo primo viaggio in Brasile ricorda infatti in Tristi Tropici:

Il viaggiatore europeo è sconcertato da questo paesaggio che non rientra in nessuna delle categorie tradizionali. Noi ignoriamo la natura vergine, il nostro paesaggio è ostensibilmente asservito all'uomo; a volte ci può sembrare selvaggio, ma non perché sia veramente tale, bensì perché gli scambi sono avvenuti su un ritmo più lento (come nelle foreste). o anche – nelle montagne perché i problemi erano così complessi che l'uomo, invece di dar loro una risposta sistematica, ha reagito nel corso dei secoli con numerosi tentativi di soluzioni marginali; le soluzioni d'insieme che li riassumono, mai decisamente volute o pensate come tali, gli si presentano dal di fuori con un carattere primitivo. A noi sembrano aspetti selvaggi autentici del paesaggio, mentre sono, invece, il risultato di una catena di iniziative e di decisioni inconsce.
Ma anche i più rudi paesaggi d'Europa sono pervasi da un ordine di cui Poussin è stato l'incomparabile interprete. Andate in montagna, osservate il contrasto fra gli aridi burroni e le foreste, la disposizione di queste al di sopra delle praterie, la differenza delle sfumature dovuta al predominio dell'una o dell'altra vegetazione secondo l'esposizione o il versante; bisogna aver viaggiato in America per sapere che questa armonia sublime, lungi dall'essere un'espressione spontanea della natura, proviene da accordi lungamente cercati nel corso di una collaborazione fra il luogo e l'uomo. Questi ammira ingenuamente le tracce delle sue iniziative passate.


Mario Delgado e Bruno Somalvico: Quale é stata la reazione dell'intellettuale del vecchio mondo di fronte a questo nuovo paesaggio umano?

LEVI-STRAUSS Ca a été pour moi une expérience tout à fait bouleversante. Parce que ce que je trouvais au Brésil je dirai ce que pendant toute mon adolescence je l’avais cherché en France, ais c'était une quête en quelque sorte dérisoire. Je me souviens que quand nous étions encore au lycée, quelques-uns de mes camarades et moi nous décidions tous les jeudis, c'était le jour hebdomadaire de congé, de partir à l'aventure à travers Paris c’est à dire de nous fixer un point de départ et de nous dire: nous allons dans cette direction et nous irons aussi loin que nous puissions. Ca nous a amenés dans des coins de banlieue tout à fait invraisemblables et qui pour nous avaient tous les mystères des pays vierges... Tout ce que je cherchais pendant ces années de jeunesse et qui avait tout de même un peu un coté de fabriqué, de semblant, je le trouvai réalisé à la je ne sais combien énième puissance en Amérique du Sud, et même je suis sur que les choses ont beaucoup changé, mais quand on allait de Santos à San Paolo, c’est à dire une centaine de kilomètres d'un port à une grande ville, eh bien on roulait dans la forêt vierge.

L'America è stata definita con ironia come un paese passato dalla barbarie alla decadenza senza conoscere la civiltà. Si potrebbe, più giustamente, applicare la formula alle città del Nuovo Mondo: senza fermarsi nella maturità, passano dal nuovo al decrepito. Una studentessa brasiliana tornò in lacrime dal suo primo viaggio in Francia: Parigi le era sembrata sporca, con le sue costruzioni annerite. La bianchezza e la pulizia erano i soli criteri a sua disposizione per giudicare una città. Le città americane non arrivano mai ad essere quei luoghi di vacanze fuori del tempo a cui invita il genere monumentale, né raggiungono quella vita senza età che caratterizza le città più belle, e le fa oggetto di riflessione e di meditazione, piuttosto che semplice strumento della funzione urbanistica. Nelle città del Nuovo Mondo, sia che si tratti di New York, di Chicago o di Sáo Paulo, che le somiglia molto, non è la mancanza di vestigia che colpisce; questa assenza è una delle loro prerogative, e, al contrario di quei turisti europei che non sono soddisfatti se non possono aggiungere al loro taccuino di viaggio un'altra cattedrale gotica, io sono ben contento di dovermi adattare a questo sistema senza dimensioni temporali, per interpretare una diversa forma di civiltà. Ma cado nell'errore inverso: poiché queste città sono nuove e traggono da questa novità la loro ragion d'essere e la loro giustificazione, accetto malvolentieri che non rimangono tali. Per le città europee, il passare dei secoli costituisce una promozione; per quelle americane, il passare degli anni provoca una decadenza.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Allora lei rimase stupito dai villaggi dello stato di Sao Paolo, e li paragonò ai villaggi della Francia Merovingia. Per quale motivo?

LEVI-STRAUSS C'étaient des villages qui, au fond, avaient été fondés par une sorte de colons un peu aventuriers qui s'étaient taillé un vaste domaine dans des terres qui étaient alors inoccupées, "désocupadas", ou bien qui l'étaient par des indiens dont on se débarrassait par tous les moyens disponibles (qui n'étaient pas des plus bienveillants) et puis autour de qui venaient s'agréger de misérables travailleurs agricoles, qui devenaient en quelque sorte des dépendances et presque je dirais des serfs de cette grande entreprise de colonisation intérieure. Et ces choses dont on retrouvait encore la trace dans l'Etat de San Paolo, bien sur ça n'existait plus, mais on en retrouvait la trace dans le plan même du village, dans la manière dont autour d'un grand domaine se trouvaient encore distribués des petits logements très humbles qui étaient ceux des ouvriers; je l'ai encore reconnu tout à fait vivant plus loin dans l'intérieur; par exemple, à la frontière du Brésil et du Paraguay dans le Sud du Mato Grosso j'ai vécu dans une exploitation agricole d'origine française d'ailleurs et toujours dirigée par des français, mais qui occupait une superficie de plusieurs dizaines de millier, d'hectares, et où, par conséquent, les travailleurs agricoles dépendaient entièrement, je dirais corps et âme, de l'entreprise, puisqu'il n'y avait rien à des dizaines, même à des centaines de kilomètres à la ronde.

Levi-Strauss, trascorre in tutto quattro anni in Brasile ove insegna presso la neonata Università di San Paolo, creata nel 1934. Nell'ultimo anno il giovane etnologo francese organizza una lunga missione franco brasiliana, lungo tutto lo Stato del Mato Grosso sino al fiume Madera, per poi approdare ai confini della Colombia. Da tale spedizione Levi-Strauss raccoglie molto materiale che nel marzo del 1939 riporta con sé in Francia, e che comincia allora a classificare per conto del Musée de l'Homme di Parigi. Levi Strauss non ha però tempo per riorganizzare questo materiale e iniziare la stesura dei suoi lavori scientifici. Sei mesi più tardi, allo scoppio della guerra, egli é infatti mobilitato dall'esercito francese. Ben presto, probabilmente per sfuggire alle persecuzioni razziali che colpiscono la Francia nel corso dell'occupazione tedesca, Lévi Strauss parte par New York nel 1941. Recentemente, nel libro Le regard éloigné, ha rievocato le prime impressioni avute della grande metropoli statunitense.

Decisamente Nuova York non era quella metropoli ultra moderna che mi aspettavo, ma un immenso disordine orizzontale e verticale, dovuto a un qualche sollevamento della crosta urbana più che ai progetti ponderati dai costruttori...In verità Nuova York non era una città, ma su questa scala colossale che si può solo misurare nel Nuovo Mondo, un agglomerato di villaggi. In ciascuno di essi, salvo forse per recarsi al lavoro, si poteva trascorrere la propria vita senza mai uscire. Così d'altronde si spiegavano i profondi misteri di un "subway express" che preso sulla stessa rampa, e a meno di essere perfettamente informati dai simboli poco visibili affissi sulla prima vettura, vi trascinava, senza la minima possibilità di scendere a metà strada, talora a destinazione, talora in qualche periferia distante 20 chilometri dal cuore di Manhattan.

Al contrario di numerosissimi intellettuali ebrei emigrati nella metropoli statunitense, Levi-Strauss, alla fine della guerra decide di non rimanere negli Stati Uniti. Dopo aver presentato dal 1941 al 1945 diverse conferenze alla New York's New School for Social Research, ed essere persino stato, nei due anni successivi alla Liberazione, Consigliere culturale presso l'ambasciata francese negli Stati Uniti, Lévi-Strauss decide infatti di tornare a Parigi, dove dirigerà nel 1948 1949 i lavori del Musée de l'Homme. Pubblicherà allora il suo primo saggio su La vita familiare e sociale degli indiani Nambikwara presso la Società degli Americanisti, prima di sostenere nel 1949, la sua tesi di dottorato di stato su Le strutture elementari della parentela che gli spalancherà le porte della quinta sezione dell'Ecole Pratique des Hautes Etudes, dove Lévi Strauss, a partire dal 1950 dirige la Cattedra di Studi delle Religioni dei popoli senza scrittura. Ben presto pero' egli collabora anche alla sesta Sezione dell'Ecole Pratique, quella creata da Lucien Febvre nell'immediato dopoguerra insieme alla nuova generazione degli storici delle Annales , a cominciare da Fernand Braudel.

LEVI-STRAUSS. Dès le début j'ai également fait partie de la sixième section de l'Ecole Pratique des Hautes Etudes et; donc je m'y suis trouvé en contact tout de suite dès mon retour en France après les Etats Unis, en contact très étroit avec les historiens, évidemment à une époque où il se passait beaucoup de choses en histoire. Je dirai tout de suite d’ailleurs Qu'une de mes dettes principales de reconnaissance et une des principales aides que j'ai reçues pour retrouver une place dans le système (académique) français, c'est à Lucien Febvre que je les dois; car Lucien Febvre s'était beaucoup intéressé à un article que j'avais écrit encore aux Etats Unis et qui s'était intitulé, "Le dédoublement de la représentation dans les arts de l'Asie et de l'Amérique" et il en avait fait un compte-rendu. Et, il est clair qu'à cette époque là, les historiens, probablement sous l'influence de l'ethnologie, étaient en train de s'apercevoir qu'il y avait dans la vie sociale des choses très importantes et qui ne se ramenaient pas à celles qu'on trouve consignées dans les documents officiels; que 1'histoire s'était surtout occupée de guerres, d'alliances, des transformations politiques, mais que tous ces aspects que j'appellerais non cristallisés de la vie sociale qu'étudient les ethnologues, eh bien les historiens peuvent aussi les étudier; ça a été quelque chose d'essentiel pour 1'histoire, mais ça a été aussi quelque chose d'essentiel pour l’ethnologie, parce que la masse d'expériences humaines dont nous disposions se sont trouvées considérablement accrues. Les historiens traditionnellement disposaient d'expériences qui se trouvaient en quelque sorte éparpillées dans 1'espace, et grâce aux ethnologues, ils allaient pouvoir aussi - et en collaboration avec les ethnologues - disposer d'expériences superposées dans le temps. Donc 1'étude de l'homme, au lieu d'être pour chacun de nous unidimensionnel devenait, par notre effort commun, pluridimensionnel, et il en est résulté alors des liens très étroits entre les deux disciplines qui continuent à se développer.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Può farci un esempio concreto di questa collaborazione fra storia ed etnologi?

LEVI-STRAUSS. Je me rappelle une conversation avec Lucien Febvre qui doit remonter aux années 1948 '49 au moment où je suis rentré en France. Febvre me disait: "Il faudrait que les historiens s'occupent de questions comme l'origine et 1'évolution du bouton… Un problème extrèmement important effectivement, mais qui avait été laissé aux ethnologues, qui relève de la culture matérielle, mais essentiel, parce que la présence ou 1'absence de boutons ce sont deux comportements vestimentaires complètement opposés: le drapé et le cousu; et, derrière ces deux comportements vestimentaires, il y a deux conceptions du monde qui sont différentes, deux habitudes corporelles qui sont également différentes. Febvre voyait donc extrêmement loin, quand il se posait ce problème.

Nel 1952, l'Unesco, l'Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura, creata a Londra nel 1945, ma con sede a Parigi a partire dal 1948, invita Levi-Strauss a scrivere un saggio su Razza e storia, e trova nell'antropologo francese uno degli interlocutori scientifici più sensibili alle preoccupazioni universali di tale organismo. Nel saggio, Lévi-Strauss fra l'altro sostiene che esiste in ogni società umana, un optimum, uno stadio ottimale di diversità, al di là del quale non saprebbero andare, ma al di sotto del quale esse non possono nemmeno scendere.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Che cosa significa questo optimum di diversità? Che cos'è insomma?

LEVI-STRAUSS. Quel serait cet optimum de diversité, je serais bien incapable de le dire. Je crois simplement que nous pouvons constater deux choses: l'une c'est que les cultures humaines ne se développent que pour autant qu'elles communiquent entre elles, qu'elles s'empreintent les unes aux autres, et qu'une culture qui serait complètement coupée de tout contact avec d’autres cultures, serait une culture très vite sclérosée; d'autre part, ce que nous constatons aussi c'est que l'intensification des contacts et des échanges telle que nous y assistons depuis au moins le dix-neuvième siècle, mais probablement déjà un peu avant, au contraire a un rôle tout à fait négatif et destructeur de ce qui fait l’originalité et le patrimoine de chaque culture. Donc, du moment que nous constatons ces deux extrêmes: Qu’une culture isolée c'est une culture condamnée à mort, une culture trop en contact avec d'autres cultures perdrait sa raison d'être, ses raisons d'exister, nous pouvons dire que la solution est a entre les deux. C'est ça dont j’ai voulu parler quand j'ai propose cette formule d'un optimum de diversité, mais je serais bien incapable de chiffrer cet optimum (. . .) qui est probablement très variable d'ailleurs selon les époques et selon les civilisations.

Nel 1971 l'Unesco domanda nuovamente a Lévi-Strauss di aprire l'Anno Internazionale di Lotta contro il Razzismo, con una conferenza su Razza e cultura. La conferenza fece però scandalo allora, come ha recentemente ricordato lo stesso Lévi Strauss ne Le regard éloigné

Mi insorgevo contro gli abusi di linguaggio, attraverso i quali si andava vieppiù confondendo il razzismo in senso stretto, con alcuni atteggiamenti normali, legittimi persino, o per lo meno inevitabili . Il razzismo é una dottrina che pretende di vedere nei caratteri intellettuali e morali attribuibili ad un insieme di individui l'effetto necessario di un comune patrimonio genetico. Non si può inserire sotto la stessa rubrica, o imputare ad uno stesso pregiudizio l'atteggiamento di singoli individui o gruppi con una fedeltà a certi valori che li rende insensibili ad altri valori. Non si é affatto colpevoli quando si pone un certo modo di vivere e di pensare al di sopra di tutti gli altri,e quando si prova scarsa attrazione nei confronti di tali o tal'altri individui, il cui genere di vita, in se stesso degno di tutto rispetto, si allontana troppo da quello al quale si é tradizionalmente legati. Questa incomunicabilità relativa non autorizza certo a opprimere, o distruggere i valori che si rifiutano,o coloro che li rappresentano;mantenuta nei suoi limiti essa non ha alcunché di ripugnante. Può anche rappresentare il prezzo da pagare affinché vengano conservati i sistemi di valore di ogni famiglia spirituale o di ogni comunità, e trovino nelle loro proprie fondamenta le risorse necessarie per il loro rinnovamento.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Claude Levi Strauss, con la sua conferenza su Razza e storia lei voleva mettere in un certo senso in guardia tutti coloro i quali professavano un antirazzismo di facciata. A suo parere, l’Unesco aveva fatto proprio un tale atteggiamento demagogico e poco scientifico?

LEVI-STRAUSS : Non, je ne dirais pas exactement ça, parce que 1'Unesco a fait un très gros effort, et l'a même renouvelé à plusieurs reprises, pour tirer au clair la notion de race la liquider en faisant appel à ce que le monde compte de savants les plus distingués en la matière. Simplement ce que j'ai - non pas reproché à l'Unesco, ça n'était pas un reproche, s'était plutôt une mise en garde, c'était de s'imaginer qu'il suffisait de répandre la bonne parole a travers le monde, pour que les préjugés disparaissent, alors que c'est ce que j'essayais de dire, les préjugés ont des racines beaucoup plus profondes, et il ne suffit pas d'en parler, il faudrait véritablement changer la condition humaine, à supposer que ce soit dans nos possibilités. Malheureusement ça ne l'est pas; et donc il faut se rendre compte que beaucoup de choses dont nous croyons nous débarrasser en disant: "c'est du racisme", parce que personne ne veut être raciste, on n'arrivera pas à s'en débarrasser si facilement, parce qua ça résulte du fait qua dans le monde où nous vivons, les gens sont beaucoup trop les une sur les autres, et donc qu'ils se supportent de plus en plus difficilement les unes les autres, et ainsi de suite.

A partire dal 1955, con la pubblicazione di Tristi Tropici, un libro concepito in un primo tempo come romanzo, ma che sarà in realtà il racconto autobiografico del suo prima soggiorno brasiliano, il nome di Levi Strauss comincia a diffondersi anche al di fuori della stretta cerchia degli specialisti e dei lettori di un'opera così complessa come Le strutture elementari della parentela. Le preoccupazioni scientifiche ed epistemologiche, sono però al centro delle sue preoccupazioni intellettuali. Nel 1958 infatti, con il primo volume di Antropologia strutturale, Lévi Strauss tenta di fornire una vera e propria piattaforma epistemologica alla propria disciplina che, grazie allo strutturalismo, egli intende così ben distinguere dalla vecchia antropologia culturale o dagli studi mitologici
Non é facile spiegare in parole povere lo strutturalismo di Levi Strauss: costui, ispirandosi ai progressi della linguistica strutturale (da Ferdinand De Saussure a Jacobson) e a quelli delle matematiche e della logica moderne, ha cercato di fare dello strutturalismo un metodo altrettanto rigoroso di quello delle scienze esatte, scegliendo come campo del suo studio Il pensiero selvaggio , ossia il pensiero allo stato selvaggio, che a suo parere può essere rilevato in ogni spirito umano a qualsiasi epoca. Lévy Strauss lo analizza cosi come esso si esprime nelle classificazioni totemiche, nelle relazioni di parentela, nei riti e nei miti. Questo metodo strutturalista é a suo parere il solo ad essere scientifico in quanto rompe con altri metodi come quello funzionalista e rinuncia a spiegazioni causali o finalistiche come quelle genetiche e storiche. E' infatti sufficiente a suo parere una spiegazione strutturale consistente a far risalire un fenomeno alla sua struttura nascosta, facendo uso di modelli, in grado di consentirgli di sperimentare, precedere e verificare. Metodo scientifico, lo strutturalismo di Lévi Strauss è però anche in un certo senso una "filosofia", nella misura in cui esso interroga fondamentalmente due concetti "natura" e "cultura" che assumono un nuovo significato nel linguaggio dell'antropologo francese.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Può rievocarci brevemente il contesto in cui é nata questa riflessione sul rapporto fra "natura" e "cultura"? Era certamente una problematica del giovane Lévi-Strauss filosofo...

LEVI STRAUSS Dans le milieu intellectuel où je suis né et où j'ai été élevé, où on était disons assez radicales de pensée - j'emploie radicales dans un sens vague, disons matérialistes - il y avait une tendance extrêmement forte à essayer de ramener des faits culturels à des faits naturels pour les faire échapper à toute espèce de trascendence. J'ai grandi dans un milieu d'artistes peintres, et pour vous donner un exemple, je me souviens très bien que dans les conversations que j'entendais entre peintres on disait :"Si parmi les figures du Greco sont très allongés ses personnages, c'est parce qu'il avait une malformation du globe oculaire". Ces genres d'explications étaient tout à fait à la mode, et c'est probablement contre ça que j'ai réagi au départ, avec le sentiment que les productions humaines étaient quelque chose de très complexe, qu'elles devaient être comprises en elles mêmes et par elles-mêmes, et qu'on ne pouvait pas les ramener à des mécanismes élémentaires de l'ordre naturel. Ceci si vous voulez pour l'origine de ma réflexion, qui a été considérablement renforcée par mon expérience et mes connaissances ethnographiques et par le fait que 1'opposition nature et culture m'est apparue comme une catégorie, je dirais, presque au sens kantien du terme, une catégorie de la pensée des peuples qu'étudient les ethnologues et que c'est d'eux, à ce moment là, que je prenais mes leçons; mais qu'en tout cas si je voulais les comprendre, et si je voulais comprendre leurs systèmes de représentation, je devais prendre pour point de départ cette opposition essentielle; bien quelle se manifeste de façons très diverses; ça peut être 1'opposition entre 1'homme et l'animal, ça peut être l'opposition entre le village habité et la brousse sauvage, et ainsi de suite. Ca se manifeste sous des formes tout à fait différentes. Probablement d'ailleurs j'ai été un peu trop loin dans ce sens; je dirais plus exactement que, bien que 1'opposition me semble toujours valide, nous nous apercevons aujourd'hui que la frontière est beaucoup moins nette que nous le pouvions penser il y a trente, quarante ou cinquante ans.

Parallelamente alle ricerche su Il Pensiero selvaggio, uscito nel 1962, Lévi-Strauss inizia negli anni sessanta un lavoro di un decennio su quelle che definisce le Mythologies, ossia sui racconti mitologici, sulle credenze, sui riti e sui costumi delle tribù aborigene, da una parte della regione del Pacho, ai confini fra il Brasile e l'Uruguay, dall'altra delle montagne rocciose nell'America Settentrionale, con le popolazioni Samish e Sahaptin.Tale ricerca si concretizzerà in quattro opere: Il Crudo e il cotto del 1964, Dal miele alle ceneri del 1967, Le origini delle maniere a tavola del 1968 e l'Uomo nudo del 1971. Fra i vari modelli utilizzati per spiegare il passaggio dalla natura alla cultura in tali popolazioni, Lévi-Strauss sceglie in primo luogo l'invenzione del fuoco e della cucina. Racconta infatti ne Il crudo e il cotto

Una volta gli uomini non conoscevano il fuoco e scaldavano la carne esponendola al sole su un sasso piatto, perché non fosse completamente cruda. A quel tempo accadde che un uomo condusse il giovane cognato a snidare degli ara su una parete rocciosa. Gli uccellini si difesero, e il ragazzo non osò catturarli. Furente, l'uomo abbatté la scala e se ne andò. L'eroe rimase prigioniero in cima alla roccia, in preda alla sete e coperto di escrementi di uccello, «cosicché cominciarono a pullulare i parassiti; e i giovani uccelli non ebbero più paura di lui».
Il seguito è identico alla versione apinayé. Viene però spiegato che la moglie del giaguaro è incinta e che non può sopportare il minimo rumore; cosi essa si arrabbia quando l'eroe mastica rumorosamente la carne arrostita offertagli dal padre adottivo. Ma, per quanto si sforzi, il giovane non riesce a rimanere silenzioso. Con le armi ricevute dal giaguaro egli ferisce alla zampa la moglie del suo salvatore, e fugge. Quest'ultima, impedita dalla gravidanza, rinuncia a seguirlo.
L'eroe racconta la propria avventura al padre, che avvisa i compagni. Alcuni corridori vengono disposti a intervalli fino alla casa del giaguaro, e si organizza una corsa a staffetta: il ceppo infiammato passa di mano in mano e giunge al villaggio. La moglie del giaguaro supplica invano che le venga lasciata un po' di brace: il rospo sputa su quella che rimane e la spegne.


Mario Delgado e Bruno Somalvico: Perché lei considera il cucinare come l'atto antropologico fondatore di una civiltà?

LEVI STRAUSS D'abord ça n'est pas moi qui le dit. J'ai simplement voulu montrer, j'ai essayé de voir ce qu’était la philosophie des Indiens de 1'Amérique, particulièrement d'Amérique du Sud, puisque c'est ceux que j'ai connu par expérience directe, et dont j'ai partagé l'existence. J' ai constaté que pour eux dans leur pensée, telle qu'elle se manifeste dans les mythes le passage de la nature à la culture c'était essentiellement le passage du cru au cuit et que la conquête du feu de cuisine était dans leur pensée, dans leur théorie, c'était l'évènement décisif dans 1'apparition de l'humanité(...).

Anche ne Il Miele e le ceneri assistiamo sempre al passaggio dalla natura alla cultura: il senso però della relazione si inverte, a seconda se si considera il miele o il tabacco: il miele, e le maniere in cui esso viene ricercato e consumato, costituiscono una sorte di immersione della natura nella cultura; il tabacco, al contrario, é uno strumento di comunicazione con il mondo sovrannaturale e viene utilizzato per invocare gli spiriti: in quanto tale, esso corrisponde ad una manifestazione della cultura in seno stesso alla cultura. Ne Dal miele alle ceneri Lévi-Strauss rievoca un mito degli indiani Kraho, nelle steppe del Brasile Centrale:

Kraho: la ragazza folle di miele
Un indio va a cercare del miele con la moglie. L'albero dove si trova il nido è appena stato abbattuto che la donna, presa da un desiderio improvviso e violento di miele, vi si getta sopra senza ascoltare i rimproveri del ma rito, che insiste perché gli lasci finire il lavoro. Furioso, egli uccide 1a moglie ingorda e smembra il suo cadavere, di cui fa arrostire i pezzi su delle pietre calde. Dopo di che intreccia una gerla di paglia, vi mette i pezzi di carne e torna al villaggio. Quando si fa notte, invita la suocera e le cognate a mangiare quella che egli spaccia come carne di formichiere. Sopraggiunge il fratello della vittima, che assaggia la carne e riconosce subito la sua origine. Il mattino dopo, si provvede a sotterrare i pezzi arrostiti della giovane e poi a condurre l'assassino nella savana, dove, sotto un albero, viene acceso un gran fuoco. L'assassino è quindi invitato a salire sull'albero per staccare un nido di api arapuà [Trigona ruficrus]. Il cognato gli tira una freccia e lo ferisce. L'uomo cade e viene finito a colpi di mazza: il suo cadavere è arso nel braciere.


Mario Delgado e Bruno Somalvico: Perché lei ha scelto il miele e il tabacco, come esempi del passaggio tal natura alla cultura?

LEVI-STRAUSS Encore une fois j'ai essayé non pas d'exprimer mes propres idées sur la nature et la culture, mais d'exprimer les idées des Indiens Américains (...). Le miel est un produit naturel en effet; mais c'est aussi un produit, je dirais, plus que cru, parce qu'il a été complètement élaboré par des mécanismes naturels, par les animaux qui l’ont fabrique; tandis que le tabac, lui, est plus que cuit, pour autant qu'il faut le brûler pour pouvoir le consommer. D'autre part, dans les conditions écologiques dans lesquelles vivent les Indiens de 1'Amérique du Sud, la récolte du miel c'est une récolte de saison sèche, et la saison sèche c'est aussi la période de la collecte et du ramassage, donc pour les humains une sorte de retour à la nature obligée; tandis que le tabac est un moyen de communication avec les Vieux, et donc, de ce point de vue là, le miel est du cote de la nature, et le tabac est du coté même au-delà de la culture, du côté du surnaturel.

Mario Delgado e Bruno Somalvico: Sin dall'Ottocento, gli etnologi consideravano la loro disciplina come condanna a divenire ben presto una scienza senza oggetto con l`estinzione delle civiltà aborigeni Ciò non ha impedito ad un intellettuale del Novecento come lei par cinque decenni di studiare e vivere in prima persona a contatto con queste popolazioni. In conclusione, come vede l'avvenire dell'etnologia e degli studi ad essa legati?

LEVI-STRAUSS Quand se sont constituées en France, à la fin du XVIIIème siècle et à peu près à la même époque en Angleterre, les premières Sociétés pour l'étude de l'homme, ce que vous lisez sous la plume de leurs dirigeants c'est: "Le temps nous est mesuré; toutes ces cultures sont en train de disparaître; il faut se dépêcher". Et puis, quand Frazer a fait en 1908, c'était l'année de ma naissance, la leçon inaugurale de la première chaire qui s'appelait d'anthropologie sociale, dans le monde, si vous lisez sa leçon inaugurale, vous trouverez la même chose: "Ce sont les toutes dernières années où nous pouvons encore travailler: bientôt tout ça aura disparu!. Nos craintes actuelles, je dirais qu'elles sont beaucoup plus fondées qu'elles ne l'étaient au XVIIIème siècle, et même au début du vingtième; mais enfin tout de même les croyances, les institutions, les différences culturelles elles ont la vie dure, et il y aura pour longtemps de 1'ethnologie à faire, comme nous l'avons toujours faite. Mais ce que je voulais dire par-là, c'était que si ce que nous appelons 1'ethnologie doit disparaître dans beaucoup de régions du monde et pour beaucoup de civilisations c'est à dire une étude des cultures par des observateurs extérieures à ces cultures, elle sera relayée par les savants au cru. Ce que nous appelons encore l'ethnologie ça deviendra la philologie, 1'histoire des idées, l'archéologie et l'étude des traditions populaires de ces peuples, par les peuples eux-mêmes.

E' sempre difficile trarre una conclusione da questo colloquio con l'antropologo francese, tuttoggi membro dell'Accadémie francaise, ma sempre immerso negli studi nel suo ufficio presso il Collège de France, dove lavora ormai da quasi mezzo secolo, ovvero dal 1959, a 18000 chilometri circa da popolazioni aborigene della Foresta Amazzonica. Lévi-Strauss, da cittadino, confrontato ai problemi drammatici delle nostre società, a cominciare dal problema del razzismo, non vuole fondare una nuova religione, né inculcare una nuova teologia, e si è sempre rifiutato di considerare la sua disciplina come una scienza esatta.

Tout ce que nous pouvons donner aux hommes et aux sociétés, ça n'est pas tellement un savoir, je dirais que c'est une certaine sagesse. Maintenant cette sagesse il serait peu sage, de notre part, de prétendre 1'inculquer: nous faisons notre travail: aux administrateurs, aux hommes politiques, aux enseignants de s'en servir s’ils veulent. Et s’ils peuvent.

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